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Presentazione di Giovanna Riu all'expo di Roberto Tagliazucchi

a l' Orangeries du Chateaux de SUCY EN BRIE

Ci sono due modi diversi, entrambi importanti, di avvicinarsi alle opere di un artista. Uno, storico e biografico, definisce l'artista in un percorso culturale e sociale, attraverso le caratteristiche del suo ambiente e, in senso più ampio, cerca di caratterizzarlo attraverso le sue relazioni con i movimenti artistici del suo tempo. L'altro si concentra di più sull'oggetto d'arte, su quell'arte che è sua e che, attraverso una serie di invenzioni formali, interroga il significato universale dell'arte. Il passaggio dall'uno all'altro è inevitabile, così ridurre l'opera alle caratteristiche psicologiche dell'artista diventa un'abitudine. La nostra attenzione si distoglie quindi dall'opera, che tuttavia ha una propria esistenza, trascendendo la storia e la vita dell'autore che, per dare forma a un nucleo misterioso (sogno, archetipo, illusione di potere), ha fatto tutto ciò che era in suo potere e ha usato il suo estremo narcisismo come strumento necessario per il suo lavoro. Se c'è un punto di incontro tra queste due visioni dell'opera, deve essere ricercato nel significato universale assunto dall'oggetto quando si trasforma in arte. Racchiude allora quella rara "necessità" comunicativa, quel mutamento di senso che lo rende riconoscibile, apprezzabile tra i modelli culturali del momento storico in cui vive l'artista e infine vantaggioso per tutti. Tuttavia, senso e significato non sono mai cristallizzati, mai definiti. Lo scultore Roberto Tagliazucchi, nelle sue rare dichiarazioni estetiche, può citare il cubismo e il futurismo, la decomposizione e la simultaneità, può elevare Brancusi al rango di totem della scultura contemporanea, può ancora ammirare la natura essenziale dei temi di Moore, ma non riuscirà mai pienamente, e fortunatamente, a giustificare la sua totale mancanza di omologazione con tendenze, modelli, autori, regole accademiche... La sua "scienza" speciale gli permette di rendere dinamico lo spazio, di assorbire e riflettere la luce, di entrare e uscire liberamente dall'oggetto. L'opera, quindi, non ha un lato preminente ma offre una moltitudine di aspetti, ognuno dei quali è il "giusto" nel preciso momento in cui viene osservato. L'artista può ancora raccontare la sua poesia attraverso le metafore, i miti e le passioni che lo agitano: è un uomo di un secolo fragile, in lotta con la materia, una fine di secolo, tumultuosa, dove, tra vere rovine, tenta di rendere visibile a sé stesso ciò che fugge, prova l'impresa visionaria del viaggio dal reale al possibile. Il suo "umanesimo" diventa una figura i cui contorni trattenere alcuni elementi della molteplicità di ciò che, per convenienza, per conformismo, chiamiamo storia, realtà, ambiente. Un compito molto difficile per chi è già la metamorfosi stessa. Il bisogno di narrazione e di "letteratura" che chiediamo all'arte ci impedirà per sempre di penetrare pienamente nel paradiso perduto o ritrovato di SOGNANDO, il vitalismo di NATHALIE, la corrispondenza ancestrale del FLAUTISTA, la determinazione ostinata di DAVID. Tuttavia, forma e idea, le due anime indissolubili dell'arte, hanno trovato la loro armonia. In questa esposizione, la cui "traversata" ci conduce verso un'anima di predominanza mediterranea, "l'archetipo della terra" e "l'archetipo del cielo" sono gli interpreti obbligati, uno con sensualità, corporeità, smembramento, frantumazione, l'altro con il siderale, l'assoluto, il bisogno di infinito. Tra di loro c'è Eros, c'è l'arte e la sapienza di Roberto Tagliazucchi che ha reso possibile la "bellezza" della contraddizione.

Gennaio '98 Giovanna Riu, Critica d'Arte

Expo Orangeries du Chateaux de SUCY EN BRIE - 1998

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