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Guardare davvero (per salvarle nella nostra memoria visiva) le modulazioni innumeri della scultura di Roberto Tagliazucchi significa comprendere anzitutto l'ansia intellettiva che ad esse presiede, la cultura dell'umano, le determinazioni costruttive più ardue e nel frattempo calibrate che governano la sua forte e significativa arditezza plastica. Ha ragione Stefano Lanzardo quando definisce, nel titolo della sua indagine fotografica, il viaggio all'interno dell'opera di Tagliazucchi una sorta di ricerca delle impronte di un'emozione. Certo, si tratta d'emozioni connaturate alla sua indubbia manualità plastica, in grado di renderci partecipi sempre, in modo diretto e tangibile, di valori da lui individuati nelle forme, scelte con pazienza e passione. Possiamo anche parlare di un'emozione dinamica, nel senso che il nostro artista non si arresta dinanzi ad alcuna difficoltà che può presentare la materia quando diventa oggetto di un'ideazione e poi inquilina pregiata dello spazio. Nel momento in cui ha sentito la necessità di riconciliarsi "con il mondo esteriore", Tagliazucchi ha messo sul trono del suo estro creativo il concetto di "Armonia", come la concepiva Dionigi d'Alicarnasso, cioè sintesi mentale, e aggiungerei, coordinata in ogni istante con un sofferto quanto consapevole criterio tecnico. Cercare armonia per Tagliazucchi è recuperare una poetica delle proporzioni a "sua" misura, a misura cioè della sua sensibilità e del suo percepire individuale della "bellezza", di quella più vicina e ovviamente più difficile da eternare. La ragione prima dell'armonia per Tagliazucchi è ben leggibile nel disegno rapido (preparatorio ma subito autonomo dal possibile successivo esito plastico) quando presuppone una forte fedeltà all'intuizione; è ancor più leggibile nel percorso del suo scolpire quando entra nella sfera dominante della concertazione fra morbidezze e ricercate angolazioni. E' una "fatica" la sua - così non può non essere - accanitamente voluta e praticata, direi inevitabile in lui ed entusiasmante e quindi prefazione al progetto realizzativo. E poi Tagliazucchi mai intende aggredire o ferire la materia scelta per i suoi messaggi: è facile, infatti, secondo me, percepire l'amore con cui scolpisce proprio perché rende evidente, comprensibile, il suo programma di conquiste formali nobilmente e robustamente liriche. E qui dobbiamo intenderci, anche con il suo "aiuto estetico" ove parla di "noveau romantisme", sulla sua volontà nuova, accanita e permanente, di fermare ed esaltare le ritmiche forme tramite un radicato, ineludibile, "sentimento dello spazio". Quando decide di calarsi nella stanza segreta, nella privacy, del mezzo plastico, Tagliazucchi sa a priori che ne ricaverà - e ce li proporrà con legittimo e del tutto approvabile orgoglio d'artista - momenti inediti, storici, umani, estranei - proprio perché figli del sentimento dello spazio - a codici, ad abitudini dogmatiche, a normative bloccanti. Facciamo un esempio: quando ci si trova dinanzi al suo "Christ de Alleray" (1987) è inevitabile una suggestione nuova, proprio perché quell'immagine - così intensamente e variamente glorificata da migliaia di scultori e pittori di tutti i tempi - nasce da un umanesimo soggettivo, intenso davvero, direi anche da una religiosità laica ricca e coraggiosa. Non occorre, per Tagliazucchi, perdersi in descrizioni: meglio scegliere la strettoia (che in lui diventerà prateria) dell'essenzialità, attraverso cui si evitano le "circostanze" dettagliate e si colgono invece, di un evento poi così eccezionale come la Crocifissione, le drammaticità più profonde, fra grida soffocate ed esaltazioni imperscrutabili. Se poi guardiamo attentamente altre opere ("Dance", per esempio) ci possiamo rendere conto della capacità di Tagliazucchi di innovare nel campo infinito, minato, degli equilibri plastici: non più soltanto l'orizzontalità piatta o le verticalità assolute, ma anche la "lateralità", che è poesia dello slancio, cioè di uno slancio veemente ed elegante, figlio d'impulsi vigorosi e responsabili. Uno scultore vero, Tagliazucchi, che ha raggiunto, con la rara ma sempre più esigibile etica della responsabilità, la capacità di esplorare nella materia, nel mezzo plastico, là ove si annidano imprevedibili ma sostanziali momenti d'armonizzazione, ad esempio tra incavi e luminosità, tra piani e ritmi, tra misura e spontaneità (si vedano opere come "Sognando", "Nathalie". "Canapé", "David"), con il beneplacito sacrosanto di "Madame Poésie" e di "Mademoiselle Imagination". Au revoir, et merci beaucoup, maître Tagliazucchi, scultore di razza, governatore di nuove figurazioni plastiche.

Ferruccio Battolini, Febbraio 2001

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